Thomas HobbesIl LeviatanoMondadori, Milano 2008 |
Capitolo tredicesimoLA «CONDIZIONE NATURALE» DELL'UMANITÀ RIGUARDO ALLA SUA FELICITÀ E ALLA SUA MISERIALa natura ha fatto gli uomini così uguali nelle facoltà del corpo e della mente che, benché talvolta si trovi un uomo palesemente più forte, nel fisico, o di mente più pronta di un altro, tuttavia, tutto sommato, la differenza tra uomo e uomo non è cosi considerevole al punto che un uomo possa da ciò rivendicare per sé un beneficio cui un altro non possa pretendere tanto quanto lui. Infatti, quanto alla forza corporea, il più debole ne ha a sufficienza per uccidere il più forte, sia ricorrendo a una macchinazione segreta, sia alleandosi con altri che corrono il suo stesso pericolo. Quanto alle facoltà della mente (lasciando da parte le arti fondate sulle parole e in particolar modo quell'abilità di procedere secondo regole generali e infallibili, che si definisce scienza, e che pochissimi possiedono e solo rispetto a poche cose, non essendo questa una facoltà naturale e innata, né acquisita occupandosi di qualcos'altro, come la prudenza), trovo che tra gli uomini vi sia un'eguaglianza ancora più grande di quella della forza fisica. Infatti, come la prudenza non è che esperienza la quale, in tempi uguali, viene dispensata in egual misura a tutti gli uomini per le cose cui si applicano in egual misura. Ciò che può forse rendere non credibile una tale uguaglianza non è altro che la vana concezione che si ha della propria saggezza, che quasi tutti ritengono di possedere a un livello più alto del volgo, vale a dire di tutti eccetto se stessi e pochi altri che essi approvano, godendo questi di buona reputazione e condividendo le loro stesse opinioni. Infatti, tale è la natura degli uomini che, per quanto questi possano riconoscere in molti altri maggiore perspicacia eloquenza o erudizione, tuttavia difficilmente crederanno che vi siano molti uomini saggi come loro: infatti, essi vedono la loro propria perspicacia da vicino, quella degli altri da lontano. Ma ciò prova l'uguaglianza degli uomini su questo punto, piuttosto che la loro ineguaglianza. Infatti, di solito, non vi è prova migliore di un'eguale distribuzione di una cosa, qualunque essa sia, del fatto che ciascuno è appagato da quel che ha. Da questa uguaglianza di capacità nasce un'uguaglianza nella speranza di raggiungere i propri fini. Perciò, se due uomini desiderano la medesima cosa, di cui tuttavia non possono entrambi fruire, diventano nemici e, nel perseguire il loro scopo (che è principalmente la propria conservazione e talvolta solo il proprio piacere) cercano di distruggersi o di sottomettersi l'un l'altro. Onde accade che, laddove un aggressore non ha che da temere il potere individuale di un altro uomo, se uno pianta, semina, edifica o possiede una posizione vantaggiosa, ci si può verosimilmente aspettare che altri, armati di tutto punto e dopo aver unito le loro forze, arrivino per deporlo e privarlo, non solo del frutto del suo lavoro, ma anche della vita o della libertà. Ma il nuovo aggressore corre a sua volta il rischio di un'altra aggressione. A causa di questa diffidenza dell'uno verso l'altro, non esiste per alcun uomo mezzo di difesa così ragionevole quanto l'agire d'anticipo, vale a dire l'assoggettare, con la violenza o con l'inganno, la persona di tutti gli uomini che può, fino a che non vede nessun altro potere abbastanza grande da metterlo in pericolo; ciò non è niente più di quanto esiga la conservazione di se stesso, ed è cosa in generale ammessa. E poiché esistono degli uomini che provano piacere nel contemplare il loro proprio potere nelle azioni di conquista, che essi praticano più di quanto non richieda la loro sicurezza, se gli altri, che in altre circostanze sarebbero lieti di vivere tranquilli entro modesti limiti, non accrescessero il loro potere con l'aggressione, non sarebbero in grado, stando solo sulla difensiva, di sopravvivere a lungo. Di conseguenza, un tale accrescimento del dominio sugli uomini, essendo necessario alla conservazione di un uomo, deve essergli consentito. Inoltre, gli uomini non provano il piacere dello stare in compagnia (ma al contrario molta afflizione) laddove non esiste un potere capace di incutere a tutti soggezione. Infatti, ciascuno bada a che il suo compagno nutra per lui la stessa stima che egli nutre per se stesso e ad ogni segno di disprezzo o di sottovalutazione per natura si sforza, per quanto può, di estorcere da quelli che lo disprezzano una stima più grande arrecando loro danno, e da tutti gli altri attraverso un siffatto esempio (il che è ampiamente sufficiente, tra coloro che non hanno un potere comune a tenerli in pace, a portarli a distruggersi reciprocamente). Cosicché, troviamo nella natura umana tre cause principali di contesa: in primo luogo la rivalità; in secondo luogo la diffidenza; in terzo luogo l'orgoglio. La prima porta gli uomini ad aggredire per trarne un vantaggio; la seconda per la loro sicurezza; la terza per la loro reputazione. Nel primo caso ricorrono alla violenza per rendersi padroni della persona di altri uomini, delle loro donne, dei loro figli e del loro bestiame; nel secondo caso per difenderli. Nel terzo caso, per delle inezie, ad esempio per una parola, un sorriso, una divergenza di opinioni, e qualsiasi altro segno di disistima, direttamente rivolto alla loro persona o a questa di riflesso, essendo indirizzato ai loro familiari, ai loro amici, alla loro nazione, alla loro professione o al loro nome. Da ciò, appare chiaramente che quando gli uomini vivono senza un potere comune che li tenga tutti in soggezione, essi si trovano in quella condizione chiamata guerra: guerra che è quella di ogni uomo contro ogni altro uomo. La guerra, infatti, non consiste solo nella battaglia o nell'atto di combattere, ma in uno spazio di tempo in cui la volontà di affrontarsi in battaglia è sufficientemente dichiarata: la nozione di tempo va dunque considerata nella natura della guerra, come lo è nella natura delle condizioni atmosferiche. Infatti, come la natura del cattivo tempo non risiede in due acquazzoni, bensì nella tendenza verso questo tipo di situazione, per molti giorni consecutivi, allo stesso modo la natura della guerra non consiste nel combattimento in sé, ma nella disposizione dichiarata verso questo tipo di situazione, in cui per tutto il tempo in cui sussiste non vi è assicurazione del contrario. Ogni altro tempo è pace. Perciò, tutte le conseguenze di un tempo di guerra, in cui ciascuno è nemico di ciascuno, sono le stesse del tempo in cui gli uomini vivono senz'altra sicurezza che quella di cui li doterà la loro propria forza o la loro propria ingegnosità. In tali condizioni, non vi è posto per l'operosità ingegnosa, essendone incerto il frutto: e di conseguenza, non vi è né coltivazione della terra, né navigazione, né uso dei prodotti che si possono importare via mare, né costruzioni adeguate, né strumenti per spostare e rimuovere le cose che richiedono molta forza, né conoscenza della superficie terrestre, né misurazione del tempo, né arti, né lettere, né società; e, ciò che è peggio, v'è il continuo timore e pericolo di una morte violenta; e la vita dell'uomo è solitaria, misera, ostile, animalesca e breve. Può sembrare strano a chi non abbia ben soppesato tali cose, che la natura possa dividere gli uomini in questo modo e renderli inclini ad aggredirsi e a distruggersi l'un l'altro; è dunque forse probabile che, non fidandosi di questa inferenza tratta dalle passioni, egli desideri vederla confermata dall'esperienza Rifletta dunque tra sé sul fatto che quando intraprende un viaggio si arma e cerca di andare ben accompagnato; che quando va a dormire sbarra le porte, che addirittura quando è nella sua casa chiude a chiave i suoi forzieri; e tutto ciò sapendo che vi sono leggi, e funzionari pubblici armati, per vendicare tutte le offese che dovessero essergli fatte. Quale opinione ha dei suoi consudditi quando cavalca armato? dei suoi concittadini quando sbarra le sue porte? dei suoi figli e dei suoi servitori quando chiude a chiave i suoi forzieri? Non accusa egli l'umanità con le sue azioni, come faccio io con le mie parole? Ma, con ciò, né io né lui accusiamo la natura umana. I desideri e le altre passioni dell'uomo non sono in sé peccato. E neppure lo sono le azioni che procedono da quelle passioni, sino a quando non si conosce una legge che le vieti; e non si possono conoscere le leggi sino a che non vengono fatte; e nessuna legge può essere fatta sino a che non ci si è accordati sulla persona che la deve fare. Si può forse pensare che non vi sia mai stato un tempo e uno stato di guerra come questo, ed io credo che nel mondo non sia mai stato così in generale; ma vi sono molti luoghi ove attualmente si vive in tal modo. Infatti, in molti luoghi d'America, i selvaggi, se si esclude il governo di piccole famiglie la cui concordia dipende dalla concupiscenza naturale, non hanno affatto un governo e vivono attualmente in quella maniera animalesca di cui ho prima parlato. Ad ogni modo, si può intuire quale genere di vita ci sarebbe se non ci fosse un potere comune da temere, dal genere di vita in cui, durante una guerra civile, precipitano abitualmente gli uomini che fino a quel momento sono vissuti sotto un governo pacifico. Ma qualora non fosse mai esistito un tempo in cui gli uomini isolati fossero in uno stato di guerra gli uni contro gli altri, tuttavia in tutti i tempi, i re e le persone dotate di autorità sovrana sono, a causa della loro indipendenza, in una situazione di continua rivalità e nella situazione e nella postura propria dei gladiatori, le armi puntate e gli occhi fissi gli uni sugli altri: vale a dire fortezze, guarnigioni e cannoni alle frontiere dei loro regni e spie che controllano incessantemente i Paesi vicini; questo è un atteggiamento di guerra. Ma poiché essi sostengono con ciò l'operosità ingegnosa dei loro sudditi, non ne consegue quella miseria che accompagna la libertà degli uomini isolati. Da questa guerra di ogni uomo contro ogni altro uomo consegue anche che niente può essere ingiusto. Le nozioni di diritto e torto di giustizia e di ingiustizia non vi hanno luogo. Laddove non esiste un potere comune, non esiste legge; dove non vi è legge non vi è ingiustizia. Violenza e frode sono in tempo di guerra le due virtù cardinali. Giustizia e ingiustizia non sono facoltà né del corpo né della mente. Se lo fossero, potrebbero trovarsi in un uomo che fosse solo al mondo, allo stesso modo delle sue sensazioni e delle sue passioni. Sono qualità relative all'uomo che vive in società e non in solitudine. A questa medesima condizione consegue anche che non esiste proprietà, né dominio, né distinzione tra mio e tuo, ma appartiene ad ogni uomo tutto ciò che riesce a prendersi e per tutto il tempo che riesce a tenerselo. E ciò basti per descrivere la triste condizione in cui l'uomo è realmente posto dalla nuda natura, benché abbia la possibilità di uscirne, possibilità che risiede in parte nelle passioni e in parte nella sua ragione. Le passioni che inducono gli uomini alla pace sono la paura della morte, il desiderio di quelle cose che sono necessarie a una vita piacevole e la speranza di ottenerle con la propria operosità ingegnosa. E la ragione suggerisce opportune clausole di pace sulle quali si possono portare gli uomini a un accordo. Queste clausole sono quelle che vengono, in altri termini, chiamate le leggi di natura, delle quali parlerò in modo più dettagliato nei prossimi due capitoli. |